Ibrutinib ( Imbruvica ), un farmaco che aveva ottenuto dall’Agenzia statunitense FDA ( Food and Drug Administration ) la designazione di breakthrough therapy ( terapia fortemente innovativa ) ha mostrato risultati di rilievo sia in termini di efficacia sia di sicurezza in due forme di neoplasie delle cellule B, una cronica e l’altra aggressiva: la leucemia linfatica cronica e il linfoma mantellare. In uno studio di fase 3, su pazienti con leucemia linfatica cronica pretrattati, ha mostrato a un follow-up di 19 mesi una riduzione del rischio di progressione di malattia del 90% e una riduzione del rischio di morte del 53%, rispetto ad Ofatumumab ( Arzerra ).
Anche per il linfoma mantellare nel 67% di casi si è riscontrata una risposta positiva a Ibrutinib, e di questi, nel 23% dei casi, la risposta è stata completa, con scomparsa dei sintomi della malattia. Il tempo mediano di sopravvivenza libero da progressione di malattia è stato di 13 mesi e la sopravvivenza globale di 22.5 mesi.
Nel corso del Congresso dell’American Society of Hematology ( ASH ) a Orlando ( Stati Uniti ) sono stati presentati dati che hanno dimostrano l’efficacia di Ibrutinib anche nei pazienti con leucemia linfatica cronica di età superiore ai 65 anni, mai trattati in precedenza. Lo studio che ha messo a confronto Ibrutinib con il chemioterapico Clorambucile, ha mostrato un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione della malattia e un miglioramento della sopravvivenza globale dell’84%. A 18 mesi, con Ibrutinib, si è ottenuta una percentuale di pazienti liberi da progressione di malattia del 94% contro il 45% del Clorambucile, mentre la percentuale di risposta globale alla terapia è stata dell’86% rispetto al 35% del chemioterapico.
Uno studio di fase 3 condotto su pazienti con linfoma mantellare già precedentemente trattati, ha messo a confronto Ibrutinib con Temsirolimus ( Torisel ). I risultati hanno dimostrato una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione o morte pari al 57% nel gruppo Ibrutinib, con un tempo mediano di sopravvivenza libera da progressione di malattia di 14.6 mesi per Ibrutinib e di 6.2 mesi per Temsirolimus.
Ibrutinib, capostipite di una nuova classe di farmaci, è un inibitore selettivo dell’enzima BTK ( tirosin chinasi di Bruton ) che interferisce con la via di segnale che promuove la proliferazione, la differenziazione e la sopravvivenza delle cellule neoplastiche.
Il meccanismo della molecola provoca la morte della cellula B maligna e impedisce la sua migrazione e adesione nei linfonodi, favorendo il rilascio delle cellule maligne nel circolo ematico. Le cellule maligne trovandosi nel sangue e non nel linfonodo, che è il loro ambiente naturale, non riescono a sopravvivere e muoiono.
Ibrutinib trova indicazione nel trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica che abbiamo ricevuto almeno una precedente terapia o in prima linea in caso di presenza della delezione del 17p o della mutazione TP53 per cui la chemio-immunoterapia non è appropriata, e dei pazienti con linfoma mantellare recidivato o refrattario.
La leucemia linfatica cronica ( CLL ) è una neoplasia delle cellule B di tipo indolente, caratterizzata da un decorso cronico a lenta progressione. E’ la leucemia più frequente nel mondo occidentale. Oggi in Italia si contano circa 3000 nuovi casi diagnosticati all’anno e l’incidenza è leggermente superiore negli uomini, ed interessa prevalentemente la popolazione anziana.
Alcuni pazienti presentano, tuttavia, una forma di leucemia linfatica cronica aggressiva che progredisce rapidamente e che, senza trattamento, porta al decesso in pochi anni.
Fino ad oggi, e negli ultimi 40 anni, la cura principale era rappresentata dalla chemioterapia, recentemente associata a terapia con anticorpi monoclonali.
Il linfoma mantellare ( MCL; linfoma a cellule del mantello ) è una neoplasia aggressiva delle cellule B, caratterizzata da una ridotta sopravvivenza mediana nonostante le terapie intensive; è diagnosticata più comunemente negli uomini che nelle donne e l’incidenza aumenta con l’età. I pazienti hanno un’età mediana alla diagnosi di 65 anni e la sopravvivenza globale mediana è oggi di 3-4 anni. ( Xagena2015 )
Fonte: Janssen, 2015
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